Hockey prato Italia

La nascita dell'hockey in Italia: 1936 e 1937 di Cipriano Zino

Cipriano Zino (1944-2001) è stato un buon mezzofondista e maratoneta. Passato nei primi anni '60 all'hockey prato, ha militato come atleta e come dirigente nella Polisportiva Libertas San Saba e nel Cus Roma. Al Coni dagli anni '70, è stato Segretario generale della Federazione Italiana Hockey sino al 1999; passato poi all'Ufficio Organi Territoriali del Coni, è diventato Commissario di alcuni Comitati Provinciali. Laureato in Scienze Statistiche e poi in Scienze Politiche, si è sempre occupato di ricerche storiche, la sua grande passione. "La nascita dell'hockey in Italia: 1936 e 1937" è la preziosa eredità che ha lasciato al mondo hockeistico di oggi e di domani.


(8) Monza, Novara, Genova, Milano, Roma...

Condividi questo articolo su Facebook Scritto da HockeyItaliano il 20/07/2010

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Quali furono le prime località dove l'hockey si radicò? "A Monza, Milano, Genova, Roma, Novara già si parla di leva di atleti e di squadra in formazione..." scriveva a fine novembre '36 - come abbiamo già visto - La Gazzetta dello Sport. Possiamo aggiungere Bologna ed ancora Busto Arsizio e Padova: ecco dove sorsero i pionieri. Nei primi giorni di ottobre vengono riuniti i "Commissari di Zona" (grossomodo delegati provinciali) appena nominati di Genova, Milano, Novara, Bologna e Roma per coordinare la politica federale della nuova disciplina.
Vediamo il nascere dell'attività nelle diverse località così come viene notata, cronologicamente, dalla stampa sportiva:
Monza: è la prima località di cui si parla. Già dal 16 ottobre '36 viene bandita una leva atletica e si comunica che gli allenamenti avverranno sotto la guida del tecnico federale Varrò. Nei mesi successivi La Gazzetta dello Sport segue con attenzione i primi passi di questa squadra che presto comunque sparirà, forse in parte fagocitata da Milano o invece autorelegatasi in quell'attività minore che sfugge allo sguardo della stampa.
Monza è importante non solo per la primogenitura nell'hockey ma anche perché fu il principale luogo di produzione dei bastoni da hockey di quegli anni.
La stampa pone in rilievo la notizia: "I monzesi giocheranno con bastoni costruiti a Monza stessa e che sono ritenuti già sufficientemente solidi ed elastici"; "l'odierna prova monzese, prova generale di allievi dell'hockey su terreno riveste importanza particolare non solo per il numero degli atleti sicuri partecipanti ma anche e specialmente perché verranno adottati bastoni italianissimi, fabbricati proprio a Monza...".
All'epoca i migliori bastoni venivano costruiti in Inghilterra (Dunlop e Spalding soprattutto) e in Germania (i mitici Hammer...) ma l'indicazione del governo italiano era il perseguimento della massima possibile indipendenza dalle importazioni estere, in ogni campo, compreso quello sportivo e questo anche precedentemente le Sanzioni all'Italia. A Monza da anni operava un’azienda, la Colombo, che fabbricava attrezzi sportivi, in special modo bastoni da hockey a rotelle e su ghiaccio ed aggiunse facilmente quelli di hockey su prato al proprio repertorio. Non fu l'unica perché qualche anno dopo operò anche una importante azienda produttrice di racchette da tennis e di sci, la Persenico di Chiavenna (SO). La FIHPR continuò ad importare bastoni esteri di pregio per rifornire le migliori squadre ma é certo che la "promozione" venne fatta principalmente coi bastoni italiani.
Novara: "A Novara hanno una speciale passione per l'hockey e, dopo le rotelle, lo hanno voluto assaggiare anche col cavaI di San Francesco".
Commenta così, con sorridente ironia La Gazzetta dello Sport parlando degli inizi del "prato" novarese: "Auspice il Comando federale dei Fasci Giovanili di Combattimento (20) di Novara si sta organizzando una sezione di Hockey su terreno, il nuovo sport che avrà certo un notevole sviluppo. Sotto la guida di Cestagalli, capitano della squadra di Hockey a rotelle, trenta elementi reclutati fra i giovani fascisti stanno allenandosi. Il comando della Divisione militare "La Sforzesca" darà in uso il campo dello stadio militare di Piazza d'Armi".
Promotore dell'hockey su prato a Novara è una delle più straordinarie figure dello sport piemontese: Giuseppe "Gip" Cestagalli, capitano e sei volte campione d'Italia con l'HC Novara di hockey a rotelle, "uno sciancato che pattinava divinamente" e che dominò la scena sportiva novarese dal 1925 al 1940. Appena calzati i pattini faceva dimenticare il suo difetto fisico con virtuòsismi d'alta classe. Allenatore degli hockeisti a rotelle e dei pattinatori su strada decise di cimentarsi nel "prato" utilizzando i giovani più portati per questo sport che per i pattini. Uno dei suoi primi allievi fu Giovanni Gondo che nel dopoguerra raccolse idealmente l'eredità di Cestagalli ricostruendo l'hockey su prato novarese.
Genova: la prima squadra nasce a Sampierdarena, antico comune alle porte della Genova storica annesso nel 1926 con altri comuni limitrofi per costituire la "Grande Genova": "Il Fiduciariato per Sampierdarena per l'hockey su terreno presieduto dal camerata Zanelotti ha iniziàto il lavoro preparatorio e passa ora all'attività agonistica.
Gli aderenti al Fascio Giovanile di Combattimento "Arnaldo Mussolini" sono convocati per
martedì 24 [novembre '36] alle ore 21 alla Cosa Littoria di Sampierdarena per essere presentati all'allenatore e per iniziare subito le dimostrazioni teoriche del gioco che è del tutto nuovo in Italia. L'allenatore prescelto è il Dr. Kurt Reber di Zurigo, un appassionato istruttore di squadre, giocatore egli stesso che proviene dal Zuricher He. Siamo certi che i giocatori sampierdarenesi potranno in breve tempo apprendere le nozioni del gioco e passare all'allenamento sul terreno".
Milano: il primo propulsore, nel settembre '36, non appena apprese la volontà del CONI di diffondere in Italia l'hockey fu Gabriele "Puni" BerIingieri, un ventunenne che convinse un gruppo di studenti del Politecnico a praticare quello sport dal nome incomprensibile di cui nessuno sapeva alcunché.
Nei primi tempi l'improvvisazione e l'anarchia regnavano sovrane: "...si vedevano dei bravi giovani (che sino a quel momento erano stati considerati di indubbia serietà) occupati a dilettarsi in una maniera piuttosto strana. Si impadronivano di un campo di calcio, si provvedevano di una palla speciale, e poi la rincorrevano bastonandola a più non posso, anche quando... non lo meritava. Gli sportivi per bene non esitavano ad affermare che 'l'era proprio una stupidata...' erano allora gli inizi dell'hockey su prato."
Due gli avvenimenti che fecero in modo che questo impulso giovanile non svanisse nel nulla e venissero tacitati i critici meneghini: l'incontro con Varrò, che prese ad allenare quel gruppo di incoscienti entusiasti, e la disposizione della Segreteria Centrale dei Gruppi Universitari Fascisti (GUF) includente l'hockey su terreno fra gli sport da praticare fra gli universitari, aprendogli così le porte di una delle migliori società polisportive dell'epoca: il GUF Milano.
Prendendo lo spunto da quanto accadde a Milano possiamo ora porci una domanda: cosa spinse tanti giovani, universitari soprattutto ma non solo, ad abbracciare uno sport di cui tutti parlavano bene ma che era praticamente sconosciuto? A costituire, come nel caso di Milano - ma che non fu l'unico - più che una squadra, una "banda irregolare" per poi incardinarla in una struttura sportiva evoluta? Le Olimpiadi, i Campionati Mondiali Universitari di Parigi, i Littoriali: "La speranza di diventare in quattro e quattr'otto nazionali fece spuntare le ali ai piedi di parecchi atleti e portò alla creazione di squadre di hockey su terreno nelle principali città (...). Tutti gli allenamenti e lo studio dei regolamenti e la compulsazione di manuali tecnici inglesi e tedeschi, tutta quella 'febbre" che a un tratto si era attaccata in maniera perniciosa a quei bravi pionieri dell'hockey su terreno" erano frutto della ambizione di primeggiare in un ambito sportivo ancora completamente vergine.

Roma: le prime società che si interessano di Hockey furono l'Associazione Hockey Roma (28.10.36) e la SS Lazio (18.1.37); gli allenatori sono stranieri per ambedue: il tedesco Hans Schultz per la prima e l'ungherese Vilmos Bényi per la seconda. Le due società passano comunque subito la mano cedendo gli embrioni delle squadre in formazione alle tre nuove realtà sportive che stavano crescendo: l'OND Assicuratori, l'OND Lavori Pubblici e il GUF Roma.
Il vero inizio dell'Hockey a Roma si può fissare a domenica 17 gennaio 1937. Come scrive Il Littoriale: "Il Commissariato XI Zona ha ottenuto per concessione dell'OND dell'Urbe vari campi di gioco ed ha messo a disposizione delle squadre romane il materiale sportivo occorrente (...) Gli appartenenti a tutte le società sportive romane, ai Gruppi OND, FGC e GUF già precedentemente convocati si troveranno per le ore 9.15 di domenica 17 corro presso la Basilica di San Paolo per recarsi al vicino campo del Ministero dei Lavori Pubblici, ove avrà luogo l'allenamento sotto la guida della famosa ex ala sinistra [Vilmos Bényi] della forte squadra magiara del Ferencvaros".
E subito dopo la cronaca del primo approccio col nuovo sport: "Sul bellissimo campo sportivo del Dopolavoro Ministero LLPP sotto la guida dell' allenatore ungherese Vilmos Bényi i primi giocatori sono stati iniziati al nuovo sport.
Secondo una saggia deliberazione, prima a scendere sul terreno è stata una squadra composta quasi esclusivamente di dirigenti. E' opportuno che primi ad apprendere ogni segreto di tale sport sino a quelli a cui è affidato il compito di disciplinarlo, propagandarlo ed insegnarlo. L'allenatore ungherese ingaggiato dal Comitato della XI Zona ogni domenica mattina dalle 9 alle 12 sarà sul campo di San Paolo a disposizione delle società romane".
I romani potevano utilizzare due bei campi, quello sopracitato del Dopolavoro Lavori Pubblici e uno più centrale, il "Grella" di via Sannio a San Giovanni. Non così fortunati gli, altri pionieri: a Milano era un continuo peregrinare dal campo Giurati al Cappelli, dall'Osram allo Stipel, a Monza e così via. A Genova il campo degli esordi era a Teglia, un rione nell' entroterra a tre quarti d'ora di tram dal centro cittadino. Agli inizi la situazione del campo era catastrofica (per la verità non migliorò molto in seguito...): come spogliatoio c'era una baracca sconnessa dove, in caso di pioggia, in taluni punti i vestiti dovevano essere sistemati sotto ombrelli aperti, per ripararli; il campo, il cui fondo era in dura terra battuta, spazzato d'inverno dal vento gelido che scendeva dalle giogaie dell'alta Valpolcevera, era amichevolmente soprannominato "Cajenna" in ricordo del famigerato bagno penale dell'Isola del Diavolo nella Guiana francese.
Più tardi i genovesi ebbero campi migliori per le partite ma spesso in luoghi differenti nella città, nei sobborghi, addirittura in Riviera.
Iniziò così, a Genova, a Milano e praticamente ovunque in Italia quello sport supplementare, spesso più faticoso della partita, della "predisposizione del campo": il tracciarlo, montare e poi smontare le porte, riporle o trasportarle da un campo all'altro. Una specie di maledizione dantesca, così ben descritta da Luciano Pinna nel suo Quei du baccu che si è perpetuata fino ai tempi moderni - fatti salvi i fortunati romani, per grazia olimpica, ma solo dagli anni sessanta in poi - ed è cessata con la costruzione dei campi in sintetico.
E gli arbitri? Questa "disgrazia necessaria" come amichevolmente venivano, vengono e nei secoli verranno definiti?
(continua)








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